domenica 28 dicembre 2014

Cuore di-vino: un lavoro lungo tre anni

Non è giusto dire che ho fatto questo quadro nel 2011 per due ragioni: la prima perché l'ho dipinto in stretta collaborazione con il mio amico Duccio Cao e la seconda perché ultimamente l'ho rivisto e corretto e, quindi, il risultato finale che oggi vedete non è più, a tutti gli effetti, quello del 2011.
La storia di questo lavoro è molto interessante: avevo aderito al progetto del primo Vin-Art di Fiesole anche perché lo organizzava la Galleria del Teatro Romano ( anch'essa di Fiesole ) che all'epoca mi promuoveva e, naturalmente, il tema dei lavori doveva essere sul vino.
Essendo io un pittore che tende all'informale, lavorare su un tema così specifico mi pareva una forzatura per quello che intendevo ed intendo ancora per arte, quindi chiamai un mio vecchissimo amico restauratore, Duccio Cao appunto, per vedere se mi chiarivo un po' le idee.
In una bellissima serata ad un' enoteca ( luogo adattissimo per quello specifico scopo ) buttammo giù quest'idea e cioè di fondere l'antichissima tecnica di doratura delle tavole di Cennino Cennini ( XV secolo ) con un'idea più moderna di pittura, ma, sopratutto, di fare detto lavoro insieme.
Il risultato, più che soddisfacente, fu però funestato da diversi piccoli inconvenienti: la lunghezza del processo di doratura, l'odore nauseabondo delle colle naturali e, per ultimo, il peggiore di tutti, l'imbarcamento della tavola. Quando alla fine di un lavoro come questo una tavola si imbarca ci resti veramente di stucco... ma come avevamo calcolato tutto tranne l'effetto delle colle umide sul legno.
Insomma qualcosa lo avevamo sbagliato, quindi ci restava un'unica soluzione: sentire un bravo corniciaio e pregarlo di fare il lavoro in tempo da record, anche perché mancano solo due giorni alla mostra. Il corniciaio ci risolse il problema con una cornice che al tempo stesso rimetteva la tavola in asse e così potemmo partecipare alla mostra.

Questo successe nel 2011, poi il quadro ritornò nel mio studio e lì rimase fino a pochi giorni fa, quando, riguardandolo per l'ennesima volta, decisi di cambiarlo radicalmente.

Siccome non esistono foto del lavoro del 2011, cercate di immaginare l'opera invasa da fili multicolore che affogavano la tavola di troppe cromie e la cornice salvifica di color nero.

Quello che a me non tornava era che una tavola dorata con una tecnica così antica non fosse visibile per troppa ricchezza di materia... insomma dovevo semplificare il quadro.

Così questo è l'ultimo risultato: la tavola si vede, i fili che definiscono il carattere cinetico del mio lavoro spariscono perché delle stesso colore del fondo, ma se colpiti dalla luce creano ugualmente le ombre e la cornice, ora dorata a pennello, si fonde con il quadro e non lo contrasta più.

In ultimo ringrazio la mia signora Reghina che mi ha suggerito di renderlo tutto d'oro.

Che dire di più... se non era per Duccio e Reghina questo lavoro non sarebbe mai nato.

lunedì 1 dicembre 2014



Ognuno di noi ha un colore personale e quando la nostra psiche si veste di una particolare cromia trova un completamento inaspettato.
Nel suo “Tempio dell’arte” Mariotti tenta di solleticare lo spettatore, proponendogli un viaggio che va oltre al dipinto stesso.
Con l’uso del monocromo o di due sole cromie, esalta questo gioco fra ciò che si vede e la nostra psicologia, ma c’è di più perché i fili che completano le otto tele del suo lavoro o celano alla vista la stessa superficie dipinta, creandone una nuova sopra, oppure la completano con una fittissima rete di ombre di riporto che si inseguono l’un con l’altra.
Le quattro tele più piccole, titolate “Accessi”, sono quasi soffocate dal cotone intrecciato che lo stesso autore chiama “Tessitura”, ma dal foro privo di fili nasce come una galassia in formazione.
I lavori più grandi invece rappresentano i quattro elementi della natura e cioè l’acqua, l’aria, il fuoco e la terra, però con una particolarità, perché non avendo nessun titolo scritto, lasciano libero lo spettatore di scegliere il suo elemento e di accostarlo alla sua cromia simbolo.
Il viaggio che Mariotti ci vuole far compiere è così tanto a ritroso nel tempo che la stessa realtà è in formazione.
È una porta ideale che una volta aperta ci fa scrutare dentro noi stessi per scoprire il valore che diamo al semplice concetto di Natura, che per lo stesso autore è l’unico vero  “Tempio”  da venerare e onorare.
L’opera di Mariotti è quindi un ideale confine in bilico fra psicologia e spiritualità, un vero e proprio tempio e quindi anche un “Tempio dell’arte”.